giovedì 6 ottobre 2011

Sanatoria per l’indebita percezione del «bonus bebè»

La Finanziaria del 2006 (L. n. 266/2005) conteneva una norma con la quale fu concesso un assegno di 1.000 euro per ogni figlio nato ovvero adottato negli anni 2005 (art. 1, comma 331) o 2006 (comma 332). I requisiti per ottenerlo consistevano nell’essere residente sul territorio nazionale, nel possesso della cittadinanza italiana ovvero comunitaria e nell’appartenenza a un nucleo familiare con un reddito annuo complessivo non superiore a 50.000 euro (art. 1, comma 333).
Votata la legge, il Ministero dell’Economia e delle Finanze inviò a numerose famiglie italiane (molte delle quali sprovviste dei requisiti richiesti in Finanziaria) una lettera nella quale si diceva che era sufficiente compilare un’autocertificazione e passare all’ufficio postale per ritirare l’assegno.
Così, in un certo numero di casi, agli sportelli postali, deputati all’erogazione, si sono presentati cittadini titolari di un reddito, riferito al nucleo familiare, superiore a 50.000 euro: gli errori più frequenti sono consistiti nell’indicare il reddito netto anziché l’imponibile oppure nel segnalare il reddito da lavoro dipendente senza considerare l’abitazione principale.
Nel luglio di quest’anno l’Amministrazione finanziaria, forte delle verifiche eseguite dall’Agenzia delle Entrate, da un lato ha preteso dai percettori sprovvisti dei requisiti richiesti la restituzione del bonus; dall’altro, si è premurata di informarli che avrebbe segnalato il loro comportamento alla competente Procura della Repubblica. Il fatto che la norma prescrivesse che “la condizione reddituale è autocertificata dall’esercente la potestà, all’atto della riscossione dell’assegno” rendeva applicabile il disposto sanzionatorio dell’art. 47 del DPR n. 445/2000 in tema di autocertificazione; l’insieme di norme penali poste a presidio della corretta erogazione dei finanziamenti pubblici (art. 316-ter; art. 640, comma 2, n. 1; art. 640-bis c.p.) e alcuni reati di falso (artt. 483 e 489 c.p.).
La ricezione indebita di erogazioni pubbliche può essere ricondotta ad almeno due norme del codice penale: l’art. 316-ter, che sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni chi, mediante la presentazione o l’utilizzo di dichiarazioni o documenti falsi, consegua indebitamente contributi, finanziamenti o mutui erogati, e l’art. 640-bis c.p., che prevede la reclusione da uno a sei anni nel caso di truffa ai danni dello Stato.
Il comma 2 dell’art. 316-ter c.p. contempla, però, una sanzione solo amministrativa (da 5.164 a 25.822 euro e comunque mai superiore al triplo del beneficio conseguito) quando la somma indebitamente erogata sia pari o inferiore a 3.999,96 euro.
Secondo la lettura data dalle Sezioni Unite (sent. n. 16568/2007), poi, mentre i reati di falso possono concorrere con la truffa – e ciò in ragione della diversità dei beni giuridici tutelati –, essi rimangono, invece, assorbiti nel caso sia commessa un’indebita percezione (l’art. 316-ter c.p. parla già di “utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi”).
Cosicché, dalla ritenuta applicabilità del reato di truffa conseguirebbe una sanzione penale da uno a sei anni, da sottoporre per di più ad aumento fino al triplo ex art. 81, comma 2 c.p. in ragione del concorso con il reato di falso. Ritenendo il fatto, invece, riconducibile all’art. 316-ter c.p., potrebbe trovare applicazione la sola sanzione amministrativa (nel caso di specie, 3.000 euro), essendo l’importo percepito inferiore alla soglia di 3.999,96 euro.
Al fine di scongiurare che, in ragione del contrasto giurisprudenziale (l’indebita percezione del “bonus bebè” è stata ricondotta all’art. 316-ter da Cass., sent. n. 40548/2008; n. 12425/2009; n. 24877/2009 e all’art. 640-bis dalle sentenze n. 1162/2008; n. 45403/2008; n. 45422/2008), il trattamento sanzionatorio dipenda dall’orientamento del singolo ufficio giudiziario, il Legislatore nella c.d. “Manovra di Ferragosto” ha previsto (art. 6, comma 6-bis del DL n. 138/2011) che “nei confronti dei soggetti che hanno beneficiato delle erogazioni di cui all’articolo 1, commi 331, 332 e 333, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in assenza della condizione reddituale stabilita dal citato comma 333, non si applicano le conseguenti sanzioni penali e amministrative se essi restituiscono le somme indebitamente percepite entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I procedimenti penali ed amministrativi eventualmente avviati sono sospesi sino alla scadenza del predetto termine e si estinguono a seguito dell’avvenuta restituzione”.
Chi ha indebitamente ricevuto il bonus sarà, dunque, esente da qualsiasi conseguenza sanzionatoria, sia penale che amministrativa, solo restituendo, senza interessi, la somma di 1.000 euro (oltre ad una marca da bollo da 1,81 euro) entro il termine di legge.
Fonte: Eutekne – Articolo di Marco Grotto