mercoledì 22 dicembre 2010

Sicurezza: Valutazione dello Stress Lavoro-Correlato entro il 31/12/2010 la predisposizione del documento

Il 31 dicembre scade il termine per la compilazione del documento di “valutazione dello stress lavoro – correlato” per tutte le aziende che hanno almeno un lavoratore (dipendente, collaboratore familiare, co.co.pro, stagista, socio, associato in partecipazione, ecc).
La mancata compilazione del documento comporterà l’applicazione di sanzioni da 2500 a 6400 euro o la reclusione da 3 a 6 mesi.
L'adempimento "Valutazione del Rischio Stress Lavoro - Correlato" è disciplinato dagli articoli 28 e 29, sezione II, del Testo Unico sulla Sicurezza. L’elaborazione dei sopracitati articoli è stata fortemente influenzata dai contenuti dell'Accordo quadro Europeo dell'8 ottobre 2004, recepito in Italia tramite l' "Accordo Interconfederale per il recepimento dell'accordo quadro europeo sullo stress lavoro - correlato tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES" concluso l’8 giugno 2008.
Le principali fonti normative alla base dell’adempimento "Valutazione del Rischio Stress Lavoro - Correlato" sono:
- Accordo Quadro Europeo del 8 ottobre 2004, recepito in Italia dall' “Accordo Interconfederale per il recepimento dell'accordo quadro europeo sullo stress lavoro - correlato tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES" concluso l’8 giugno 2008.
- Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, d.lgs. 81/2008
- D.Lgs. 106/09, Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 81/08
- D.Lgs. 78/2010, art. 8, Razionalizzazione e risparmi di spesa delle amministrazioni pubbliche
- Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010 della Commissione Consultiva per la Valutazione dello Stress Lavoro Correlato.
In particolare, l’articolo 28, comma 1 del D.Lgs. 81/08 dispone che “ La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro - correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, […].
Attenzione: gli addetti ai servizi domestici e familiari (colf, badanti, ecc.) non rientrano tra i destinatari della tutela della sicurezza sul lavoro, come indicato nell’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/2008. Pertanto, in relazione a tali lavoratori decade l'obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato.
Sempre l’articolo 28, comma 1- bis del D.Lgs. 81/08 precisa che “ La valutazione dello stress lavoro – correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all’articolo 6, comma 8, lettera m – quater, e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010”.
Il D.Lgs. 78/2010, art. 8, ha rinviato al 31 dicembre 2010 la scadenza per l’espletamento dell’obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato: “Al fine di adottare le opportune misure organizzative, nei confronti delle Amministrazioni Pubbliche […] e dei datori di lavoro del settore privato, il termine di applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 28 e 29 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, in materia di rischio da stress lavoro-correlato , è differito al 31 dicembre 2010 […]”.
Infine, la Circolare Ministeriale del 18 novembre 2010 contiene le indicazioni della Commissione Consultiva sulla metodologia da utilizzare per una corretta valutazione dello stress lavoro correlato.
La Commissione consultiva ha previsto che la valutazione del rischio da stress di lavoro-correlato si articoli in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare); una eventuale e da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di correzioni adottate dal datore di lavoro si rivelino inefficaci.
La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili, appartenenti a tre famiglie:
1. Eventi sentinella, quali ad esempio: indici infortunistici; assenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni; segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentele formalizzate dai lavoratori.
2. Fattori di contenuto del lavoro, quali ad esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti.
3. Fattori di contesto del lavoro, quali ad esempio: ruolo nell’organizzazione; autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali; evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (e incertezza in ordine alle prestazioni richieste).
Se dalla valutazione preliminare non emergono elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere azioni correttive, il datore di lavoro è tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio.
Se, invece, emergono elementi di rischio da stress lavoro-correlato, occorre pianificare interventi correttivi. Nel caso in cui tali interventi si rivelino inefficaci, il datore di lavoro dovrà effettuare una valutazione approfondita, che prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori attraverso strumenti quali questionari, focus group, interviste semi strutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori previsti nella valutazione preliminare.

lunedì 20 dicembre 2010

31 DICEMBRE 2010: PRESCRIZIONE DEGLI ACCERTAMENTI SU MODELLI UNICI 2006 E 2005

Il prossimo 31 dicembre 2010 costituisce l'ultimo giorno utile per l'Agenzia delle Entrate di notificare gli accertamenti relativi al modello Unico 2006 (anno d'imposta 2005) e modello Unico 2005 (anno d'imposta 2004) nel caso in cui sia stata omessa la presentazione della dichiarazione.
Come sottolineato dall'art. 43 e dall'art. 57 del D.P.R. 600/73 gli avvisi di accertamento sulle imposte dirette e sull'IVA, per non prescriversi, devono essere notificati al contribuente entro il 31 dicembre del IV anno successivo alla presentazione della dichiarazione (Unico 2006), oppure entro il 31 dicembre del V anno successivo a quello in cui la dichiarazione omessa doveva essere presentata (Unico 2005). Di conseguenza nel caso in cui venisse notificato al contribuente in data 2 gennaio 2011 un avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2005 quest'ultimo potrebbe richiedere la nullità dell'atto poichè i termini di decadenza non possono essere interrotti.
Bisogna però considerare le vari eccezioni verificatesi fino ad oggi quali:
- la proroga che il Legislatore concesse all'Agenzia delle Entrate per gli accertamenti sulle dichiarazioni di coloro che aderirono al condono nel 2002. In questi casi infatti la decadenza degli accertamenti non avveniva più entro il 2007, bensì nel 2009;
- il raddoppio dei termini di constatazione delle violazioni penali introdotto dal D.Legge 223 del 2006 che praticamente trasla da 4 ad 8 anni il tempo dell'agenzia delle Entrate per la notifica degli atti che ha permesso all'Amministrazione di Finanziaria di aggirare il termine dei 4 anni anche se soltanto in presenza di reati gravi;
- la possibilità di prolungare la decadenza degli atti notificati al decimo anno successivo alla presentazione della dichiarazione dei redditi qualora i contribuenti siano non residenti.
- Per quanto riguarda invece i tributi locali, la Legge 296 del 2006 ha unificato a 5 anni successivi alla data di versamento delle imposte il termine di prescrizione degli avvisi di accertamento locali.
- Per le imposte indirette quali successioni donazioni ed imposte di registro la prescrizione viene definita all'interno dei vari istituti.

Interessi legali: dal 1 gennaio 2011 aumento del tasso al 1,5%

Con Decreto 7 dicembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 dicembre 2010, n. 292, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha aumentato di mezzo punto la percentuale di calcolo per la determinazione degli interessi legali.
Pertanto, per il calcolo degli interessi legali si applica:
- fino al 31 dicembre 2010, la "vecchia" percentuale dell'1%;
- dal 1° gennaio 2010, la "nuova" percentuale dell'1,5%.
L'aumento del saggio di interessi legali interessa anche l'ambito fiscale in particolare per quanto riguarda il calcolo degli interessi dovuti a seguito di ravvedimento operoso, i quali sono dovuti dal giorno successivo alla scadenza del termine di versamento dell'imposta e fino alla data di effettivo pagamento.
Per regolarizzare gli omessi, insufficienti o tardivi versamenti di tributi mediante il ravvedimento operoso, infatti, occorre corrispondere, oltre alla prevista sanzione ridotta, anche gli interessi moratori calcolati al tasso legale, con maturazione giorno per giorno, a partire dal giorno successivo a quello entro il quale doveva essere assolto l’adempimento e fino al giorno in cui si effettua il pagamento.
Il tasso da applicare è quindi pari:
- all’1,5%, dal 1° gennaio 2011 fino al giorno di versamento compreso;
- all’1%, dal 1° gennaio 2010 fino al 31 dicembre 2010;
- al 3%, fino al 31 dicembre 2009.
La nuova misura dell’1,5% del tasso legale rileva anche per il calcolo degli interessi, non determinati per iscritto, in relazione:
- ai capitali dati a mutuo (art. 45, comma 2 del TUIR);
- agli interessi che concorrono alla formazione del reddito d’impresa (art. 89, comma 5 del TUIR).
L’aumento del tasso legale all’1,5% non rileva, invece, in relazione alla rateizzazione dell’imposta sostitutiva dovuta per la rideterminazione del costo o valore di acquisto delle partecipazioni non quotate e dei terreni, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 5 e 7 della L. n. 448/2001 (Finanziaria 2002) e successive modifiche ed integrazioni.
In tal caso gli interessi dovuti per la rateizzazione rimangono fermi al 3%, in quanto tale misura non è collegata al tasso legale.
Al nuovo tasso di interesse legale dell’1,5% saranno adeguati, con un successivo decreto, i coefficienti per la determinazione del valore, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria, catastale, di successione e donazione, delle rendite perpetue o a tempo indeterminato, delle rendite o pensioni a tempo determinato, delle rendite e delle pensioni vitalizie e dei diritti di usufrutto a vita. I nuovi coefficienti si applicheranno agli atti pubblici formati, agli atti giudiziari pubblicati o emanati, alle scritture private autenticate e a quelle non autenticate presentate per la registrazione, alle successioni apertesi e alle donazioni fatte, a decorrere dal 1° gennaio 2011.
La variazione del tasso legale ha effetto anche in relazione alle sanzioni civili previste per l’omesso o ritardato versamento di contributi previdenziali e assistenziali, ai sensi dell’art. 116, comma 15 della L. n. 388/2000 (Finanziaria 2001).
In caso di omesso o ritardato versamento di contributi, infatti, le sanzioni sono ridotte alla misura del tasso legale, quindi all’1,5% dal 1° gennaio 2011, in caso di oggettive incertezze dovute a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sull’esistenza dell’obbligo contributivo, fatto doloso di terzi, denunciato all’autorità giudiziaria ovvero in caso di crisi, ristrutturazione o riconversione aziendale di particolare rilevanza sociale ed economica in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore.

venerdì 17 dicembre 2010

5 per mille 2011: requisiti per usufruire dei benefici e modalità di rendicontazione

Con Circolare 10 dicembre 2010, n. 56, l'Agenzia delle Entrate, a seguito anche dei recenti interventi legislativi, ha specificato i criteri che gli enti devono avere per poter giovare dei benefici del 5 per mille dell'IRPEF.
In sintesi i requisiti che devono avere gli enti:
- personalità giuridica di diritto privato (D.P.R. n. 361/2000);
- operare senza scopo di lucro;
- svolgere una delle attività previste dall'art. 10, comma 1 D.Lgs. n. 460/1997.
Se viene accertato che prima dell'assegnazione del contributo gli enti beneficiari hanno cessato la propria attività o non svolgono più l'attività che ha dato diritto al beneficio, si verifica la decadenza dall'agevolazione (mancata erogazione degli importi previsti o recupero di quelli già attribuiti).
Da qualche giorno sono inoltre disponibili sul sito del Ministero del Lavoro il modello e le linee guida per la rendicontazione delle quote percepite dall’anno 2008 in poi.
L’obbligo di rendicontazione, introdotto dalla L. 244/2007 (Finanziaria 2008) per le somme percepite sulla base della dichiarazione IRPEF dell’anno 2008 e successivi, è stato previsto per monitorare l’effettiva destinazione dei contributi, imponendo ai beneficiari di garantire che siano stati impiegati “per il perseguimento delle finalità istituzionali degli enti percettori”. La misura è entrata in vigore a decorrere dall’anno finanziario 2008, a esclusione delle associazioni sportive dilettantistiche, per le quali (ai sensi del DM 2 aprile 2009) l’obbligo parte invece dall’anno finanziario 2006.
Stando alle Linee-guida, sono tenuti alla compilazione:
- gli enti che abbiano percepito quote del 5 per mille dell’IRPEF, i quali devono predisporre distinti rendiconti a seconda della relativa annualità;
- gli enti che abbiano percepito il beneficio in seguito alla proroga dei termini per la presentazione della domanda di ammissione al 5 per mille stesso (ad esempio, per la riapertura dei termini disposta dalla L. 25/2010);
- la struttura “centrale” di una federazione o di un soggetto con articolazioni territoriali, qualora abbia ricevuto la quota di 5 per mille provvedendo poi a “smistarla” fra i diversi snodi periferici: in tal caso, il rendiconto dev’essere unico.
Al contrario, i soggetti che abbiano redatto il bilancio di esercizio in base alle “Linee guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit” (www.agenziaperleonlus.it > atti di indirizzo) non sono tenuti alla compilazione del rendiconto. A patto che il bilancio di esercizio illustri in dettaglio la destinazione della quota del 5 per mille.
Il modello disposto dal Ministero (www.lavoro.gov.it > volontariato > contributo 5 per mille) non è vincolante, verranno presi in considerazione anche modelli eventualmente “autoprodotti”, purché contenenti tutti i dati richiesti. Quanto al fac-simile ministeriale, consta di due parti: con la prima, “Anagrafica”, il soggetto fornisce le coordinate utili all’individuazione dell’ente, quali denominazione sociale, nominativi e recapiti; nella seconda, devono essere elencati gli importi dei costi coperti con la quota percepita: risorse umane, costi di funzionamento, acquisto di beni e servizi, erogazioni ai sensi della propria finalità istituzionale e altre voci di spesa riconducibili al raggiungimento dello scopo sociale. Le somme eventualmente indicate ai capitoli “Erogazioni” e “Altre voci” (punti 4 e 5 del fac-simile) devono essere integrate con una relazione descrittiva dettagliata sugli interventi realizzati e relativi costi.
Il Ministero consiglia di scaricare il fac-simile e compilarlo in formato elettronico, così da aggiungere altre righe per le sottocategorie (ad esempio specificando, sotto la voce “Risorse Umane”, gli importi utilizzati per l’assicurazione dei volontari e per i rimborsi spese).
Le Linee-guida illustrano, in breve, il significato delle singole voci di spesa segnalate nel modello. “Risorse umane” corrisponde ai costi sostenuti per il personale operante in modo continuativo per l’ente, anche a titolo gratuito. “Costi di funzionamento” si riferisce alle spese per la gestione della struttura dell’ente (es. canoni di locazione) e ai costi di svolgimento delle attività (es. cartoleria). “Acquisto beni e servizi” include tutte le spese riguardanti apparecchiature, immobili, macchinari (beni), ma anche l’affitto di locali per eventi, il noleggio attrezzature e i compensi per prestazioni di lavoro occasionale (servizi). La voce “Erogazioni ai sensi della finalità istituzionale” concerne soprattutto gli enti che svolgono attività di sostegno nei confronti di altri soggetti secondo il proprio scopo istituzionale, anche non esclusivo. Infine, nella sezione “Altre voci” possono confluire tutte le spese non assimilabili ai punti precedenti.
La compilazione del rendiconto – va infine sottolineato – è obbligatoria per tutti gli enti, ma sono tenuti a trasmetterlo al Ministero del Lavoro soltanto quelli che abbiano percepito, per l’anno 2008, un importo pari o superiore a 15mila euro, e per gli anni successivi un importo pari o superiore a 20mila euro. Per tutti gli altri, il Ministero si riserva comunque la facoltà di chiedere la trasmissione.
L’invio deve perfezionarsi nei trenta giorni successivi al compimento di un anno dalla percezione dell’importo.
Per l’inoltro via PEC, occorre inviare all’indirizzo dgvolontariato@mailcert.lavoro.gov.it un’e-mail contenente il modello compilato (allegati inclusi) in formato .pdf, e un altro .pdf riportante la firma del rappresentante legale. Per l’invio cartaceo, invece, la documentazione dev’essere spedita per posta raccomandata, con la dicitura “Rendiconto 5‰ dell’IRPEF” sulla busta, all’indirizzo: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – D.G. per il Volontariato, l’Associazionismo e le Formazioni Sociali – Divisione I – Via Fornovo n. 8 00192 Roma.
In caso di mancato o erroneo adempimento, il Ministero del Lavoro può – previa contestazione – aprire un contradditorio e, qualora l’esito sia sfavorevole al soggetto beneficiario, provvedere al recupero delle somme erogate.

giovedì 16 dicembre 2010

Ravvedimento operoso: dal 1 febbraio 2011 aumentano le sanzioni

La Legge di stabilità 2011, ha previsto un sensibile inasprimento delle sanzioni nei casi di utilizzo dei vari strumenti a disposizione del contribuente che intende sanare la propria posizione con il Fisco (ravvedimento operoso, accertamento con adesione, definizione agevolata, ecc.).
In particolare, in tema di ravvedimento operoso le "nuove" misure delle sanzioni risultano essere le seguenti:
- un decimo del minimo (e non più 1/12) se la regolarizzazione dell'omesso versamento viene effettuata entro 30 giorni;
- un ottavo del minimo (e non più 1/10) se la regolarizzazione di una violazione sostanziale avviene entro il termine della dichiarazione successiva;
- un decimo del minimo (e non più 1/12) se la dichiarazione omessa viene regolarizzata entro i 90 giorni successivi.
Si ricorda inoltre che per l'accertamento con adesione le sanzioni passano da un quarto del minimo a un terzo del minimo, mentre per l'adesione ai PVC ed agli inviti si passa da un ottavo del minimo ad un sesto del minimo.
Le nuove disposizioni entrano in vigore, per tutti gli istituti, a partire dal 1° febbraio 2011.
Fonte: seac

mercoledì 15 dicembre 2010

Ambiente: dal 1 gennaio 2011 vietata la commercializzazione dei sacchetti in plastica

A partire dal 1 gennaio 2011 sarà vietata la commercializzazione e l'utilizzo dei sacchetti non biodegradabili. La proroga (che spostava l'originario termine fissato al 1 gennaio 2010 entro il quale recepire le disposizioni comunitarie) prevista nella passata Finanziaria scade, infatti, il 31 dicembre 2010. Attraverso l'imposizione di tale divieto si intende contribuire a ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, a rafforzare la protezione ambientale, a sostenere le filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali nonché a raggiungere gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto.
Il Ministero dell'Ambiente ha recentemente aperto un tavolo di lavoro con le categorie della distribuzione direttamente coinvolte, stante la mancata adozione delle misure originariamente previste nella Legge Finanziaria 2007: l'avvio, cioè, di un programma sperimentale volto alla progressiva riduzione della commercializzazione dei sacchetti nonché l’adozione di un provvedimento per regolamentare più nel dettaglio l'introduzione del divieto.
ll Ministero ha comunque confermato la disponibilità, ferma restando la data del 1 gennaio 2011, a presentare un provvedimento che consenta di "smaltire le scorte" ancora in carico alla distribuzione, specialmente quella piccola.
Il Ministero ha, inoltre, presentato la campagna di sensibilizzazione e informazione rivolta ai cittadini che intenderebbe portare avanti insieme alle principali categorie distributive. La campagna dovrebbe essere lanciata prima della fine dell'anno sui principali mass media e sarà incentrata sul concetto di riutilizzo.
Data la rilevanza e l'impatto che avrà tale normativa è importante richiamare alcuni aspetti normativi di ordine generale.
In primo luogo va sottolineato che il recepimento del dettato comunitario è avvenuto all'interno della legge finanziaria 2007 come puro atto di indirizzo al quale avrebbe dovuto far seguito un regolamento attuativo che avrebbe disciplinato anche gli aspetti sanzionatori. Tale regolamento, però, non è stato mai emanato. Di conseguenza, allo stato attuale, non sono previste sanzioni amministrative e pecuniarie per chi non si adeguerà al dettato normativo. Saranno eventualmente i Comuni, con loro specifiche ordinanze, in ottemperanza al potere regolamentare di cui dispongono in materia di gestione dei rifiuti, a prevedere la possibilità e l'entità delle sanzioni.
Si ricorda poi che il divieto alla produzione, commercializzazione ed utilizzo riguarda i sacchetti in plastica non biodegradabili così come definiti dalla norma tecnica EN 13432.
Tale norma "Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione", adottata anche in Italia con la denominazione UNI EN 13432, definisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per poter essere definito "compostabile":
- biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica;
- disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva);
- bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost (esempio: riduzione del valore agronomico e presenza di effetti ecotossicologici sulla crescita delle piante).
È importante, inoltre, ricordare, che la norma UNI EN 13432 è una norma armonizzata, ossia fornisce presunzione di conformità alla Direttiva Europea 2004/12/CE che modifica la direttiva 94/62/CE 94/62 EC, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.
Fonte: il sole 24 Ore

Accertamento lavoro sommerso: istruzioni INPS per le sanzioni

Già il Ministero del Lavoro, nella Circolare n. 38 del 12 novembre 2010, aveva fornito istruzioni in merito alle novità contenute nell'articolo 4 della Legge 4 novembre 2010 n. 183 (c.d. Collegato Lavoro) in tema di maxisanzione per il lavoro sommerso, al fine di garantire uniformità di comportamento al personale ispettivo.
In particolare il Ministero aveva chiarito che la maxisanzione:
- è una "misura sanzionatoria aggiuntiva" che va a sommarsi a tutte le altre sanzioni previste nelle ipotesi di irregolare instaurazione del rapporto di lavoro;
- ha ad oggetto l'impiego di "lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro" alle dipendenze di datori di lavoro privati o di enti pubblici economici;
non si applica se dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti si evidenzi la volontà di non occultare il rapporto.
Recentemente l'INPS, nella Circolare n. 157 del 7 dicembre 2010, commenta le novità introdotte dall'articolo 4 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. Collegato Lavoro) per quanto concerne le misure contro il lavoro sommerso.
Tra le principali novità introdotte l'Istituto ricorda che in caso di accertamento di lavoro irregolare, oltre alla maxisanzione, devono essere applicate le sanzioni civili il cui importo è aumentato del 50%, mentre non trova più applicazione la sanzione civile minima di 3.000 euro. In merito l'Istituto precisa che:
In base alle nuove disposizioni, infatti, l’importo di tali sanzioni connesse all’evasione di contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare va “aumentato del 50 per cento”. Ferma restando la disciplina dettata dall’art. 116, comma 8, lett. b) della L. 388/2000, è stata, dunque, eliminata la previsione che stabiliva che l’importo delle suddette sanzioni non potesse essere inferiore a 3.000 euro per ciascun lavoratore, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata; ciò con evidente vantaggio per il trasgressore, per lo meno nel caso di violazioni di breve periodo.
In caso di lavoro irregolare – spiega l’INPS – le sanzioni civili continueranno ad essere calcolate, in ragione d’anno, nella misura del 30% della contribuzione evasa, fino ad un massimo del 60%, come previsto dal citato art. 116, comma 8, lett. b) della L. 388/2000 per l’ipotesi di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, ossia l’ipotesi in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi, occulti rapporti di lavoro in essere. L’importo così determinato dovrà essere maggiorato del 50%. La nuova modalità di calcolo si applica per gli accertamenti iniziati dopo l’entrata in vigore della L. 183/2010 (24 novembre 2010), ancorché le connesse evasioni si riferiscano a periodi di lavoro irregolare antecedenti alla riformulazione della norma. Anche le sanzioni civili “maggiorate” di cui si tratta, peraltro, potranno essere applicate solo per i contributi per i quali, al momento dell’accesso ispettivo, siano già scaduti i termini di versamento.
Il fatto che il collegato lavoro abbia modificato il presupposto stesso di individuazione del lavoro sommerso – ora costituito, dall’impiego di lavoratori dipendenti in assenza di preventiva comunicazione di assunzione – comporta inoltre che, al pari delle sanzioni amministrative, anche la nuova misura delle sanzioni civili non possa essere applicata a rapporti di lavoro diversi dal lavoro subordinato, quali rapporti di lavoro autonomi e parasubordinati (es. collaborazioni a progetto). Restano esclusi anche i rapporti di lavoro domestico. Come chiarito nella circolare del Ministero del Lavoro, la nuova misura delle sanzioni civili può, invece, essere applicata nel caso in cui il datore di lavoro dichiari di aver attivato una prestazione di lavoro autonomo, in assenza di documentazione atta a consentire di verificare la pretesa autonomia del rapporto.
Sempre sulla base della circolare ministeriale, l’Istituto afferma, inoltre, l’applicabilità delle nuove sanzioni nell’ipotesi di prestazione di lavoro occasionale accessorio per la quale non siano state effettuate le previste comunicazioni all’INAIL o all’INPS. Al riguardo, va ricordato come, con riferimento alle prestazioni occasionali accessorie, così come alle prestazioni rese da soci e coadiuvanti familiari ex art. 4, comma 1, n. 6 e 7 del DPR 1124/65, la predetta circolare avesse effettivamente statuito che, in caso di mancata effettuazione degli adempimenti “formalizzanti” previsti nei confronti della P.A., “il requisito della subordinazione è dato per accertato” e, quindi, “troverà applicazione la maxisanzione”. Tale affermazione aveva, tuttavia, sollevato perplessità, a fronte delle quali, nel corso del “Forum Collegato Lavoro” del 17 novembre 2010, si era specificato che la circolare n. 38/2010 non aveva inteso stabilire, per le suddette tipologie di rapporti, una “presunzione di subordinazione” nei casi di mancata denuncia preventiva, ma solo indicare una “metodologia ispettiva” ai funzionari di vigilanza. Ciò significa che – e in tal senso si è espresso anche l’INAIL nella nota n. 8513/2010 – per tali tipologie lavorative, gli ispettori devono acquisire tutte le prove utili a dimostrare, con certezza e in modo inconfutabile, la qualificazione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che la maxisanzione potrà essere applicata soltanto nei casi in cui risulti accertato che il rapporto di lavoro ha le caratteristiche del lavoro subordinato. L’INPS, riguardo al lavoro accessorio non denunciato, sembrerebbe, invece, riproporre una sorta di “presunzione di subordinazione”, ritenendo estensibile a tale fattispecie, sulla base del solo presupposto della mancata comunicazione, la nuova misura delle sanzioni per il lavoro nero.
Si fa presente, infine, che la nuova modalità di calcolo delle sanzioni civili trova applicazione per gli accertamenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del c.d. "Collegato Lavoro" (24 novembre 2010), ancorché le stesse si riferiscano a periodi di lavoro irregolare svolti antecedentemente alla riformulazione della norma in parola

lunedì 13 dicembre 2010

IVA: detraibilità per gli omaggi di valore unitario inferiore a 25,82 euro

In ordine al trattamento ai fini IVA degli oneri sostenuti in relazione ai beni concessi in omaggio, tanto il regime applicabile “a monte” (detrazione), quanto quello applicabile “a valle” (cessione gratuita), dipendono, in buona sostanza, dal fatto che il bene ceduto sia riconducibile o meno all’attività propria dell’impresa.
In via generale, l’art. 2 comma 2 n. 4) del DPR 26 ottobre 1972 n. 633 considera “assimilate” alle cessioni “in senso stretto” (di cui al comma 1 del citato art. 2), come tali imponibili IVA, le cessioni gratuite di beni.
L’art. 2 comma 2 n. 4) del DPR 633/72 deve essere coordinato con la previsione di indetraibilità oggettiva stabilita dall’art. 19-bis1 comma 1 lett. h), riferita alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sui redditi. Di conseguenza, la nozione di spesa di rappresentanza recata dal DM 19 novembre 2008 si estende direttamente e automaticamente ai fini IVA, con il risultato che:
- gli acquisti di beni e servizi che vengono qualificati come spese di rappresentanza non attribuiscono il diritto alla detrazione dell’IVA, anche nell’ipotesi in cui siano indeducibili dal reddito d’impresa (ad esempio, in quanto viene superato il plafond di deducibilità);
- per gli acquisti di beni e servizi che non vengono qualificati come spese di rappresentanza, si applicano le regole generali secondo le quali l’IVA è ammessa in detrazione se detti acquisti sono inerenti, vale a dire se presentano un nesso con l’attività generatrice di operazioni imponibili ed equiparate.
Secondo la prassi amministrativa, “gli acquisti di beni destinati ad essere ceduti gratuitamente, la cui produzione o commercio rientra nell’attività dell’impresa, non costituiscono spese di rappresentanza” (cfr. C.M. 16 luglio 98 n. 188). Pertanto, l’IVA assolta all’atto dell’acquisto è detraibile, non trovando applicazione la previsione di indetraibilità oggettiva di cui all’art. 19-bis1 comma 1 lett. h) del DPR 633/72.
Sotto il profilo della “cessione”, ai sensi dell’art. 2 comma 2 n. 4 del DPR 633/72, la cessione gratuita è imponibile IVA indipendentemente dal costo (o valore) unitario dei beni (inferiore, pari o superiore a 25,82 euro). A seguito delle modifiche introdotte dalla legge Comunitaria 2008, l’art. 13 comma 2 lett. c) del DPR 633/72 stabilisce che la base imponibile, per le cessioni in esame, è costituita dal “prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”; pertanto, la base imponibile non coincide più con il valore normale.
In base alla C.M. 188/98, gli acquisti di beni destinati ad essere ceduti gratuitamente, la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, costituiscono sempre spese di rappresentanza, indipendentemente dal costo unitario dei beni stessi.
L’art. 19-bis1 comma 1 lett. h) del DPR 633/72, nel testo modificato dall’art. 31 comma 1 lett. a) n. 2) della L. 23.12.2000 n. 388 (Finanziaria 2001), prevede l’indetraibilità dell’IVA relativa “alle spese di rappresentanza come definite ai fini delle imposte sul reddito”, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 25,82 euro.
Pertanto, posto che la nozione di spese di rappresentanza prevista dal DM 19 novembre 2008 attuativo dell’art. 108 co. 2 del TUIR ha efficacia anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’IVA sostenuta per l’acquisto di beni e servizi qualificati come “di rappresentanza” è indetraibile, in caso di beni di valore unitario superiore a 25,82 euro, a prescindere dalla deducibilità dei relativi costi dal reddito d’impresa.
In base al combinato disposto dell’art. 2 comma 2 n. 4 e dell’art. 19-bis1 comma 1 lett. h), per i beni non rientranti nell’attività propria dell’impresa (non essendo di propria produzione o commercio) la cessione gratuita è sempre esclusa da IVA.
L’IVA “a monte”, invece, è:
- detraibile, se il costo (o valore) unitario del bene non è superiore a 25,82 euro;
- indetraibile, se il costo (o valore) unitario del bene è superiore a 25,82 euro.
Pertanto, l’indetraibilità oggettiva per le spese di rappresentanza risulta derogata per i beni di costo unitario non superiore a 25,82 euro (cfr. art. 19-bis1 comma 1 lett. h) del DPR 633/72).
Al riguardo, pare opportuno sottolineare che, a causa del mancato allineamento delle soglie previste ai fini delle imposte sui redditi (50 euro) e ai fini IVA (25,82 euro), l’indetraibilità dell’IVA fa sì che la stessa, come si è già avuto modo di approfondire, diventi un costo in sede di determinazione del reddito.
Fonte: Eutenke

venerdì 10 dicembre 2010

IVA: VERSAMENTO DELL’ACCONTO 2010

Entro il 27.12.2010 va effettuato il versamento dell’acconto Iva 2010 da parte dei soggetti interessati, ovvero i soggetti titolari di partita Iva che effettuano liquidazioni e versamenti mensili (art. 1, D.P.R. 100/1998) e liquidazioni e versamenti trimestrali (art. 7, D.P.R. 542/1999 e art. 74, co. 4, D.P.R. 633/1972).
Sono esonerati dal versamento dell’acconto Iva:
• i soggetti che hanno iniziato l’attività nel corso del 2010;
• i soggetti che hanno cessato l’attività entro il 30.11.2010 se contribuenti mensili, entro il 30.9.2010 se trimestrali;
• i soggetti che presentano una base di riferimento a credito (dicembre/quarto trimestre 2009) o che prevedono di chiudere l’ultima liquidazione 2010 con un’eccedenza a credito;
• i contribuenti minimi (art. 1, co. 96-117, L. 244/2007);
• i contribuenti che per il 2009 hanno usufruito del regime agevolato delle nuove iniziative produttive ex art. 13, L. 388/2000;
• i soggetti che hanno effettuato esclusivamente operazioni esenti o non imponibili Iva;
• i contribuenti in regime agricolo di esonero ex art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972;
• i soggetti esercenti attività di intrattenimento ex art. 74, co. 6, D.P.R. 633/1972;
• le società e le associazioni sportive dilettantistiche e le associazioni che applicano il regime di cui alla L. 398/1991.
DETERMINAZIONE DELL’ACCONTO
L’ammontare dell’acconto Iva va determinato utilizzando uno dei seguenti tre metodi:
• metodo storico;
• metodo previsionale;
• metodo delle operazioni effettuate.
Metodo storico
Con il metodo in esame, l’acconto Iva è pari all’88% del versamento effettuato (o che avrebbe dovuto essere effettuato) nello stesso periodo dell’anno precedente, ovvero tenendo conto della base di riferimento che si differenzia a seconda della periodicità di liquidazione adottata dal contribuente:
• nel caso di periodicità di liquidazione mensile, la base di riferimento è il saldo a debito della liquidazione di dicembre 2009 (rigo VH12, Modello Iva 2010);
• nel caso di periodicità di liquidazione mensile «posticipata», la base di riferimento è il saldo a debito della liquidazione di dicembre 2009 effettuata sulla base delle operazioni di novembre 2009 (rigo VH12, Modello Iva 2010);
• nel caso contribuenti trimestrali speciali (autotrasportatori, distributori di carburante), la base di riferimento è il saldo a debito della liquidazione del quarto trimestre 2009 (rigo VH12 del Modello Iva 2010);
• nel caso di periodicità di liquidazione trimestrale, la base di riferimento è il saldo a debito della dichiarazione relativa al 2009 – debito comprensivo anche dell’acconto versato (VL38 – VL36 + VH13); non va considerato l’ammontare degli interessi dell’1% applicati in sede di dichiarazione annuale.
Nel caso particolare di un soggetto trimestrale che abbia chiuso la dichiarazione Iva relativa al 2009 a credito per effetto di un maggior acconto 2009, è necessario individuare quanto sarebbe stato il saldo in assenza dell’acconto. Di conseguenza l’acconto da versare per il 2010 va commisurato a quanto effettivamente dovuto per il 2009, pari alla differenza tra l’acconto versato e il credito della dichiarazione Iva (rigo VH13 – rigo VL33).
Metodo previsionale
Il contribuente ha facoltà di adottare, al posto del metodo storico, il metodo previsionale, che consiste nel commisurare l’acconto sulla base del dato previsionale 2010.
Se, quindi, il contribuente stima di dover liquidare per il mese di dicembre 2010, quarto trimestre 2010 o in sede di dichiarazione annuale 2010 (a seconda della periodicità della liquidazione), un importo Iva inferiore rispetto alla base di riferimento del metodo storico, può calcolare l’88% su tale minor importo.
Utilizzando tale metodo, per non incorrere in sanzioni, è necessario che a consuntivo l’acconto versato per il 2010 non risulti inferiore all’88% di quanto effettivamente dovuto per il mese di dicembre, quarto trimestre o dichiarazione Iva 2011.
Metodo delle operazioni effettuate
Con tale metodo l’Iva dovuta in acconto è pari al 100% dell’importo che deriva effettuando un’apposita liquidazione Iva al 20.12.2010.
I contribuenti mensili dovranno, pertanto, considerare l’Iva a debito derivante dalle operazioni effettuate, registrate o da registrare dall’1.12 al 20.12 e l’Iva a credito risultante da acquisti e importazioni registrate dall’1.12 al 20.12.
I contribuenti trimestrali dovranno, invece, considerare l’Iva a debito derivante dalle operazioni effettuate, registrate o da registrare dall’1.10 al 20.12 e l’Iva a credito risultante da acquisti e importazioni registrate dall’1.10 al 20.12.
È, quindi, necessario tener conto non solo dell’Iva risultante dalle operazioni registrate nel periodo considerato, ma anche di quella afferente alle operazioni per le quali si siano verificati i presupposti del momento impositivo (consegna o spedizione, pagamento del corrispettivo, ecc.): tipico esempio sono le cessioni effettuate con Ddt fino al 20.12.2010, per le quali non è stata ancora emessa la fattura differita.
VARIAZIONE DELLA PERIODICITÀ DELLA LIQUIDAZIONE
Nel caso in cui un contribuente applichi nel 2010 un regime di liquidazione periodica diverso rispetto al 2009, applicando quindi una periodicità diversa, si possono verificare le seguenti situazioni:
• passaggio da trimestrale a mensile: il parametro su cui calcolare l’88% dovuto a titolo di acconto è pari ad un terzo dell’imposta a debito di cui alla dichiarazione annuale relativa al 2009;
• passaggio da mensile a trimestrale: l’acconto dell’88% va determinato sulla base delle liquidazioni effettuate nell’ultimo trimestre 2009 e, quindi, sommando i saldo delle liquidazioni di ottobre, novembre e dicembre 2009.
CASI PARTICOLARI
Adeguamento a parametri/studi di settore
La determinazione dell’acconto Iva non è influenzata dall’eventuale adeguamento ai parametri o agli studi di settore perfezionato dal contribuente.
Contabilità separate
Nel caso di contribuente che abbia optato per la contabilità separata ex art. 36, D.P.R. 633/1972, le liquidazioni periodiche Iva sono cumulative per tutte le attività e, quindi, l’acconto è unico.
Nel caso in cui le attività separate abbiano diversa periodicità di liquidazione, l’acconto va commisurato all’importo dovuto in sede di liquidazione di dicembre 2009 per l’attività mensile, in sede di dichiarazione annuale relativa al 2009 per l’attività trimestrale.
MODALITÀ DI VERSAMENTO
Il versamento dell’acconto Iva va effettuato con il Modello F24 utilizzando il codice tributo:
• 6013 per i contribuenti mensili
• 6035 per i contribuenti trimestrali
e periodo di riferimento «2010».
Si ricorda che i soggetti trimestrali non devono maggiorare l’ammontare dell’acconto dovuto degli interessi dell’1%.
SCOMPUTO DELL’ACCONTO
L’importo di quanto versato a titolo di acconto deve essere scomputato dalla:
• liquidazione Iva relativa al mese di dicembre, per i contribuenti mensili;
• liquidazione Iva relativa al quarto trimestre, per i contribuenti trimestrali speciali;
• dichiarazione annuale, per i contribuenti trimestrali per opzione.
L’acconto Iva dovuto per il 2010 ed il metodo utilizzato per la sua determinazione devono poi essere indicati nel Modello Iva 2011 al rigo VH13.

Immobili fantasma: entro il 31 dicembre la denuncia degli immobili non iscritti in catasto

Venerdì 31 dicembre 2010 scade il termine per denunciare, tramite la procedura DOCFA di cui al DM n. 701/1994, i fabbricati non iscritti in Catasto (c.d. “immobili fantasma”), ivi inclusi gli ex rurali, individuati dall’Agenzia del Territorio nel triennio 2007-2009 (più precisamente sono quelli individuati nel territorio dei Comuni elencati nei comunicati dell’Agenzia del Territorio pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale tra il 1° gennaio 2007 e il 31 dicembre 2009) ed i fabbricati che, sebbene censiti in Catasto, sono stati oggetto di interventi edilizi non denunciati che hanno determinato variazioni di consistenza ovvero di destinazione.
Decorso il suddetto termine del 31 dicembre, con riferimento ai c.d. “immobili fantasma”, qualora il possessore non abbia provveduto a denunciarli, l’Agenzia del Territorio iscriverà transitoriamente una rendita presunta (articolo 19 comma 10 del DL n. 78/2010), sulla cui base dovranno essere assolti gli obblighi fiscali.
Con il comunicato del 29 settembre 2010, infatti, l’Agenzia del Territorio ha ultimato la verifica dei fabbricati non censiti in Catasto (c.d. “immobili fantasma”) attualmente in corso, rispettando il termine (30 settembre 2010) stabilito dall’articolo 19 comma 7 del DL n. 78/2010 (convertito dalla L. n. 122/2010).
I fabbricati non censiti che, ai sensi dell’articolo 2 comma 36 del DL n. 262/2006 (conv. L. n. 286/2006), sono siti nei Comuni elencati nel sopracitato comunicato dell’Agenzia del Territorio, a differenza degli altri per i quali vale la scadenza del 31 dicembre 2010, devono essere denunciati in Catasto entro il 29 aprile 2011 (ossia entro sette mesi dalla data di pubblicazione del comunicato stesso in Gazzetta Ufficiale che è avvenuta in data 29 settembre 2010).
Come si è detto, entro fine dicembre, oltre alla denuncia degli “immobili fantasma”, è possibile regolarizzare anche l’iscrizione catastale di fabbricati oggetto di interventi edilizi che abbiano comportato variazioni, non dichiarate in Catasto, di consistenza o di destinazione.
In caso di inadempimento, in questi casi, scatterà l’accertamento catastale, effettuato anche con la collaborazione dei Comuni (articolo 19 comma 11 del DL 78/2010). Anche per tali operazioni, si ricorda, i Comuni hanno facoltà di stipulare apposite convenzioni con gli Ordini professionali (cfr. circ. Agenzia del Territorio 10 agosto 2010 n. 3, par. 3).
Persistenza di eventuali profili di irregolarità urbanistica
Una volta registrati gli atti di aggiornamento presentati, l’Agenzia del Territorio “rende disponibili ai Comuni le dichiarazioni di accatastamento per i controlli di conformità urbanistico-edilizia, attraverso il Portale per i Comuni” a norma del comma 8 del citato articolo 19 del DL n. 78/2010.
Si ricorda, tuttavia, che la procedura che si è brevemente cercato di delineare consente di regolarizzare entro i termini stabiliti il solo illecito catastale, consistente nell’omessa presentazione della denuncia di nuova costruzione (ovvero di variazione) catastale, ma non anche gli illeciti urbanistici (ad esempio, un intervento di nuova costruzione o di recupero edilizio effettuato in assenza del titolo abilitativo prescritto dalle norme urbanistiche nazionali, regionali e comunali, ovvero in difformità totale o parziale da esso).
Condizione indispensabile, infatti, per conseguire la sanatoria è che “l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda” (articolo 36 comma 1 del DPR n. 380/2001).
Si tratta del c.d. “accertamento di conformità”. Ove la verifica di tali condizioni di conformità agli strumenti urbanistici pregressi e attuali sussista, sarà quindi possibile presentare un’istanza, corredata dei relativi elaborati tecnici, volta ad ottenere il titolo (permesso di costruire) in sanatoria, ovvero una DIA in sanatoria, ove ammessa. Trattandosi di immobili costruiti abusivamente in tutto o in parte, si tratterà per lo più di un permesso di costruire in sanatoria, ma non è da escludersi che risulti sufficiente una DIA (rectius, una superDIA, ex art. 22 comma 3 del DPR 380/2001) in sanatoria. Per discernere quale sia il titolo da presentare in sanatoria, è opportuno esaminare la legge urbanistica regionale e la normativa comunale (PRGC e regolamento edilizio).
Fonte: eutekne

giovedì 9 dicembre 2010

Legge di stabilita 2011: approvata la nuova Finanziaria 2011

È stato approvato senza ulteriori modifiche anche dal Senato il Disegno di Legge di Stabilità 2011, che è ora Legge, e prevede, fra i principali interventi in materia fiscale:
- la proroga anche per il 2011 della detrazione del 55% sulle spese relative ad interventi per il risparmio energetico; il beneficio tuttavia andrà ripartito su dieci anni e non più su cinque come in precedenza;
- maggiori strumenti agli Uffici finanziari per procedere all'accertamento parziale (inviti a comparire, inviti ad esibire documenti, questionari ai contribuenti);
- l'aumento delle sanzioni ridotte dal 1° febbraio 2011, in caso di ricorso all'utilizzo del ravvedimento operoso, accertamento con adesione, definizione agevolata, ed adesione agli inviti al contraddittorio;
- l'esenzione IVA per le cessioni di fabbricati non strumentali per natura se portate a termine entro i cinque anni (prima dell'intervento l'esenzione scattava entro i quattro anni).
Fra i maggiori interventi contenuti nella Legge di stabilità 2011, in materia di lavoro, si segnalano:
- il rifinanziamento dei trattamenti di integrazione salariale, di mobilità e di disoccupazione speciale;
- la proroga degli incentivi per le assunzioni di lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali;
- la possibilità di attivazione dei contratti di solidarietà da parte dei datori non rientranti nell'ambito applicativo della Cigs;
- la proroga del trattamento dal 60% all'80% per coloro che possono avvalersi dei contratti di solidarietà supportati dall'integrazione salariale;
- l'abrogazione dell'innalzamento, a partire dal 1° gennaio 2011, di 0,09 punti percentuali dell'aliquota contributiva riguardante i lavoratori iscritti all'assicurazione generale obbligatoria e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima (art. 1, comma 10, Legge n. 247/2010);
- l'accesso di aziende e lavoratori allo sgravio contributivo sui premi di produzione;
- la proroga della tassazione ridotta del 10%, sostitutiva di Irpef e addizionali, per le somme legate alla produttività.
Fonte: Seac

martedì 7 dicembre 2010

Omaggi e regali : per i professionisti sono deducibili nel limite dell’1% dei compensi

In occasione delle festività natalizie, anche i professionisti acquistano beni per cederli a titolo di omaggio a clienti e collaboratori. Analogamente a quanto avviene nell’ambito del reddito d’impresa, anche ai fini del reddito di lavoro autonomo occorre distinguere il trattamento fiscale dei suddetti beni sulla base del soggetto destinatario dell’omaggio.
Con riferimento agli omaggi destinati ai clienti del professionista, ai sensi dell’art. 54, comma 5, del TUIR, sono espressamente comprese tra le spese di rappresentanza quelle sostenute per l’acquisto o l’importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito, comunemente noti come “omaggi”. Come chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate 13 luglio 2009 n. 34, le disposizioni relative alla qualificazione delle spese di rappresentanza previste in sede di determinazione del reddito d’impresa (art. 108 comma 2 del TUIR e DM 19 novembre 2008) rilevano anche ai fini del reddito di lavoro autonomo, ovviamente fermi restando i diversi limiti di deducibilità previsti dall’art. 54 comma 5 del TUIR. In altri termini, la nozione di spesa di rappresentanza va mutuata dal DM 19 novembre 2008.
Occorre peraltro rilevare come, a differenza di quanto previsto per il reddito d’impresa, nell’art. 54 manchi qualsiasi riferimento al costo minimo del bene distribuito gratuitamente. Di conseguenza, diversamente da quanto previsto nell’ambito del reddito d’impresa, le spese relative ai beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50 euro non sono integralmente deducibili, ma concorrono a formare il plafond delle spese di rappresentanza deducibili nell’esercizio.
Tanto premesso, ai sensi dell’art. 54 comma 5 del TUIR, il costo dei beni oggetto di cessione gratuita o omaggio alla clientela è deducibile dal reddito del professionista, a titolo di spesa di rappresentanza, nel limite dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta; i costi sono deducibili, nel rispetto del principio generale previsto per il reddito di lavoro autonomo, per cassa.
A mero titolo esemplificativo, si supponga che l’ammontare dei compensi di un professionista, nel periodo d’imposta 2010, sia pari a 200.000 euro e che le spese di rappresentanza ammontino a 2.400 euro, di cui 500 per beni di costo inferiore a 50 euro. Ai fini della deducibilità dal reddito si avrà che:
- le spese per omaggi di valore unitario inferiore a 50 euro, pari a 500 concorrono a formare il plafond di deducibilità dei compensi;
- le spese di rappresentanza sono deducibili soltanto fino a 2.000 euro (1% di 200.000,00 = 2.000,00);
- l’ammontare delle spese di rappresentanza indeducibile è pari a 400 euro.
Omaggi ai collaboratori interamente deducibili
In ordine agli omaggi destinati ai dipendenti e/o collaboratori del professionista, in assenza di una specifica disciplina, si ritiene che il relativo costo sia deducibile in misura integrale, ai sensi dell’art. 54 comma 1 del TUIR.
In capo al dipendente/collaboratore beneficiario dell’omaggio, pertanto, vale quanto esposto con riferimento al reddito d’impresa. In particolare, i regali di Natale e le altre erogazioni liberali sono imponibili in capo al dipendente, salvo che non rientrino nel limite di 258,23 euro previsto dall’art. 51 comma 3 del TUIR.
Fonte: Eutenke

ICI saldo 2010: ravvedimento

Eventuali irregolarità nel versamento dell’Ici possono essere sanate mediante il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso, come disciplinato dall’art. 13, D.Lgs. 472/1997. Il contribuente può provvedere autonomamente a regolarizzare i versamenti omessi o parziali, computando gli interessi legali e la sanzione ridotta.
In particolare, qualora il soggetto passivo effettui il versamento entro 30 giorni dalla scadenza naturale (cd. «ravvedimento breve»), la sanzione sarà pari ad 1/12 della sanzione ordinaria (ovvero 1/12 del 30% degli importi non versati).
Nel caso in cui, invece, il soggetto passivo provveda alla regolarizzazione dei versamenti oltre il termine di 30 giorni dalla scadenza ma entro un anno (cd. «ravvedimento lungo»), la sanzione sarà ridotta ad 1/10 della sanzione ordinaria.
Si segnala, tuttavia, che la Legge di stabilità 2011, ora in via di approvazione al Senato, prevede, a decorrere dal 1° febbraio 2011, l’incremento delle sanzioni dovute in sede di ravvedimento operoso: in caso di «ravvedimento breve» la sanzione dovuta sarà pari ad 1/10 della sanzione ordinaria, mentre in caso di «ravvedimento lungo» la sanzione dovuta sarà pari ad 1/8 della sanzione ordinaria (art.1, co. 20, Legge di stabilità 2011).

venerdì 3 dicembre 2010

Ici saldo 2010: modalita’ di calcolo e versamento entro il 16/12/2010

L’imposta comunale sugli immobili (Ici) è un’imposta locale, gravante sui fabbricati e sui terreni agricoli ed edificabili siti nel territorio dello Stato ed istituita con D.Lgs. 504/1992.
Soggetti passivi d’imposta sono i possessori di beni immobili a titolo di proprietà o sulla base di un diritto reale di godimento quale l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, l’enfiteusi e la superficie.
Sono identificati quali soggetti obbligati al pagamento dell’imposta anche i locatari di beni immobili nel caso di locazione finanziaria (leasing), nonché i concessionari di aree demaniali.
Nel caso in cui i suddetti diritti siano vantati da più soggetti su un medesimo immobile, l’imposizione si estende pro-quota a tutti i contitolari.
Tuttavia, il Comune può autorizzare pagamenti cumulativi dell’imposta, effettuati da un contitolare anche per conto degli altri.
L’imposta viene quantificata, quindi, in funzione:
• delle caratteristiche dell’immobile;
• della quota posseduta;
•dei mesi di possesso nell’anno solare.
Precisamente, qualora il possesso del bene immobile sia iniziato o terminato nel corso dell’anno, il calcolo è commisurato ai mesi di titolarità, computando l’intero mese se il possesso è durato per oltre 14 giorni.
Soggetti all’Ici sono, quindi, tutti i beni immobili – terreni e fabbricati – siti nel territorio dello Stato, con le esclusioni sotto dettagliate:
• per ciò che attiene ai terreni, sono esclusi:
– quelli «non agricoli» (es. terreni incolti, orticelli, ecc.);
– quelli posseduti dallo Stato o da enti territoriali;
– quelli siti in aree montane o collinari ex art. 15, L. 984/1977;
• per ciò che attiene ai fabbricati e le relative pertinenze, sono esclusi (ex art. 7, D.Lgs. 504/1992):
– quelli posseduti dallo Stato o da enti territoriali;
– quelli appartenente al gruppo catastale «E» (beni del demanio);
– quelli ad uso culturale, religioso o sanitario siti in aree montane o collinari ex art. 15, L. 984/1977;
• sono altresì esclusi ai sensi dell’art. 1, D.L. 93/2008, conv. con modif. dalla L. 126/2008, i fabbricati, ed annesse pertinenze, effettivamente destinati ad abitazione principale. Tale esenzione, tuttavia, non può riguardare le unità immobiliari di categoria «A1» (abitazioni signorili), «A8» (ville) e «A9» (castelli).
Anche per le aree fabbricabili sono vigenti esenzioni d’imposta nel caso in cui siano possedute dallo Stato ed enti territoriali, ovvero siano utilizzate da enti non commerciali a fini culturali, religiosi ed assistenziali.
ALIQUOTE
L’Ici è dovuta annualmente ed è determinata applicando alla base imponibile un’aliquota fissa, stabilita da ciascun Comune entro il termine dell’anno precedente a quello di riferimento.
Secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 169, L. 296/2006, nel caso in cui l’aliquota non venga deliberata dall’ente comunale, si applica quella in vigore nell’anno precedente. Il Legislatore ha voluto assegnare ai Comuni la possibilità di definire autonomamente l’aliquota impositiva, limitandosi a delineare un range di valori tra un minimo del 4 e un massimo del 7 per mille. Il Comune ha comunque facoltà di fissare, compatibilmente con le esigenze di bilancio, un’aliquota inferiore a quella minima. Tale possibilità è prevista dal 2009 per le unità immobiliari dotate di impianti a fonte energetica rinnovabile.
Considerato il potere di ogni Comune di regolamentare, a propria discrezione entro determinati limiti, l’applicazione del tributo in oggetto, la disciplina non si presenta uniforme sul territorio dello Stato e, pertanto, aliquote, detrazioni ed esclusioni sono diverse a seconda del territorio Comunale considerato.
BASE IMPONIBILE
La base di calcolo dell’Ici è il valore dell’immobile determinato in funzione delle caratteristiche che lo contraddistinguono.
In particolare, il valore di un fabbricato iscritto al Catasto con attribuzione di rendita è ottenuto aumentando detta rendita del 5% e moltiplicandola per i coefficienti di rivalutazione previsti dalla legge per ciascuna categoria, ovvero:
• categorie catastali «A» e «C» (esclusi «A/10» e «C/1»): coefficiente 100;
• categorie catastali «D» e «A/10»: coefficiente 50;
• categoria catastale «B»: coefficiente 140;
• categoria catastale «C/1»: coefficiente 34.
Nel caso di fabbricati classificati nella categoria «D» privi di rendita catastale, invece, la base imponibile è determinata sommando tutti i costi di acquisto e incrementativi, stratificati per anno, e moltiplicando il risultante valore per un coefficiente di rivalutazione definito ogni anno con decreto ministeriale.
Con riferimento alle aree fabbricabili, in termini generali, la base per il calcolo dell’imposta consiste nel valore venale dell’area stessa. Tale valore risulta influenzato da tre ordini di fattori, e precisamente: dall’indice di edificabilità attribuito all’area, da eventuali oneri da sostenere per rendere l’area edificabile, nonché dall’ubicazione e dai prezzi di mercato in essere per beni simili.
Infine, per i terreni agricoli la base di calcolo dell’Ici si ottiene rivalutando il reddito dominicale del 25% e moltiplicando il valore così ottenuto per 75.
Si segnala che per determinate casistiche sono previste specifiche riduzioni e detrazioni d’imposta. Per quanto riguarda, ad esempio, tutte le unità immobiliari adibite ad abitazione principale e non esenti (in quanto appartenenti alle categorie «A1», «A8» e «A9»), vige una detrazione d’imposta pari ad euro 103,29. Altro caso in cui spetta una riduzione dell’imposta è quello dei fabbricati inagibili ed inutilizzati: sulla base di idonea documentazione comprovante lo stato di fatto dell’immobile, l’imposta può essere ridotta nella misura del 50%. Infine, per i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, è prevista l’applicazione dell’imposta alla sola parte eccedente il valore di franchigia (pari ad euro 25.822,84), nonché ulteriori riduzioni da applicarsi progressivamente per scaglioni al valore eccedente la franchigia.
MODALITÀ di VERSAMENTO
Come già detto, l’Ici è un’imposta locale sugli immobili, e come tale deve essere versata a favore del Comune in cui gli immobili sono ubicati (art. 10, D.Lgs. 504/1992). Il versamento può, alternativamente, essere effettuato in unica soluzione, ovvero in due rate. Quest’ultima possibilità, in particolare, è stata regolata, a seguito delle modifiche introdotte alla disciplina Ici dall’art. 18, co. 1, L. 388/2000 (Finanziaria) e dall’art. 37, co. 13 e 14, D.L. 223/2006, conv. con modif. dalla L. 248/2006.
Secondo le sudette disposizioni, la prima rata a titolo di acconto, pari al 50% dell’imposta complessivamente dovuta, deve essere versata entro e non oltre il 16 giugno di ogni anno.
Si rileva che, ai fini della determinazione dell’acconto, la base imponibile deve essere riferita all’anno in corso, mentre le aliquote e le detrazioni considerate devono essere quelle vigenti nell’anno precedente.
La seconda rata versata a titolo di saldo, invece, viene quantificata applicando alla base imponibile relativa all’anno in corso le aliquote e le detrazioni vigenti nello stesso e scomputando, dal valore così ottenuto, la somma già versata a titolo d’acconto. Il versamento del saldo deve essere effettuato nel periodo compreso tra il 1° e il 16° giorno del mese di dicembre dell’anno di riferimento.
In alternativa al versamento in due soluzioni, il contribuente può optare per un unico versamento da effettuarsi entro e non oltre il 16 giugno di ogni anno. In tal caso, nel modello di versamento dovrà essere opportunamente indicata la modalità prescelta barrando sia la casella relativa all’acconto, sia quella relativa al saldo.
Il versamento unico prevede, naturalmente, che l’imposta dovuta sia calcolata in base alle aliquote e alle detrazioni/riduzioni in essere nell’anno in corso.
Esistono diverse modalità per provvedere al versamento dell’imposta. Precisamente, il contribuente può servirsi dell’apposito modulo di versamento su conto corrente postale, approvato con D.M. 25.3.2009, ovvero può utilizzare il Mod. F24.
Quest’ultima modalità permette di compensare l’imposta comunale sugli immobili con eventuali altri crediti d’imposta.
È bene, inoltre, ricordare che i contribuenti con partita Iva che utilizzano il Mod. F24 devono effettuare il pagamento necessariamente via telematica.
Obbligo al quale non sono, invece, tenuti i contribuenti sprovvisti di partita Iva, i quali possono recarsi presso qualsiasi sportello di agenti della riscossione, banche convenzionate o uffici postali.
I codici tributo utili ai fini della compilazione del Mod. F24 sono i seguenti:
• 3901: Ici relativa all’abitazione principale;
• 3902: Ici relativa ai terreni agricoli;
• 3903: Ici relativa alle aree fabbricabili;
• 3904: Ici relativa ad altri fabbricati.
Ai fini della conformità del modello di versamento, deve, inoltre, essere indicato, nell’apposito campo, il codice catastale del Comune nel quale sono ubicati gli immobili, nonché l’anno di riferimento.
Da ultimo, inoltre, si rileva che per le persone fisiche non residenti nel territorio dello Stato è prevista la possibilità di avvalersi del versamento in unica soluzione nel periodo compreso tra il 1° e il 16° giorno di dicembre, corrispondendo una maggiorazione pari al 3%.
SALDO ICI
È necessario fare alcune precisazioni in merito alla quantificazione del saldo Ici. Il calcolo del saldo, infatti, non presenta particolari problematiche nel caso in cui il Comune di riferimento non abbia deliberato nuove aliquote e detrazioni d’imposta rispetto all’anno precedente e la situazione dell’immobile non sia sostanzialmente cambiata.
In questo caso, infatti, la determinazione dell’importo della seconda rata è particolarmente semplice, in quanto il contribuente è tenuto al versamento del restante 50% dell’imposta complessiva, calcolata in occasione del primo versamento.
Nel caso in cui, invece, si siano verificate variazioni nella posizione degli immobili posseduti ovvero nelle aliquote/detrazioni/riduzioni, l’imposta complessivamente dovuta deve essere rideterminata in sede di secondo versamento.
Il nuovo calcolo deve, quindi, considerare tali cambiamenti relazionandoli al periodo di tempo nel quale sono intervenuti e, dall’imposta totale risultante, dovrà essere sottratto quanto già versato con la prima rata di giugno.
Si riportano di seguito alcune fattispecie al verificarsi delle quali è necessario ricalcolare l’Ici ai fini del saldo:
• vendita o acquisto di un immobile;
• costituzione o estinzione di un diritto reale (uso, usufrutto, abitazione, enfiteusi, superficie);
• variazione della quota del bene immobile posseduta;
• trasferimento della residenza;
• assegnazione di una nuova rendita catastale all’immobile dovuta alla variazione delle caratteristiche dello stesso, anche a seguito di interventi strutturali;
• riconoscimento di un vincolo storico o artistico dell’immobile che ne modifichi la destinazione d’uso;
• dichiarazione di inagibilità o inabitabilità dell’immobile;
• acquisizione o perdita del diritto all’esenzione o all’esclusione dall’imposta.
Nei suddetti casi l’imposta dovuta deve essere correttamente rapportata ai mesi di effettivo possesso.
A titolo esemplificativo, il soggetto passivo che ha venduto il proprio immobile alla fine di febbraio 2010, doveva ugualmente versare l’acconto Ici per l’anno in corso, commisurando l’imposta ai 2/12 di quella totale (due mesi di possesso nel corso dell’anno), calcolata sulla base delle aliquote e detrazioni dell’anno precedente.
Il medesimo soggetto dovrà, quindi, provvedere entro il 16.12.2010 a calcolare nuovamente l’imposta dovuta al fine di determinare l’importo da versare a saldo. Precisamente, l’imposta dovuta verrà quantificata sempre nella misura di 2/12 dell’imposta annuale, questa volta ottenuta applicando i parametri dell’anno in corso.
L’eventuale conguaglio che risulterà dalle variazioni regolamentari apportate dal Comune dovrà essere versato a titolo di saldo.